Jock Stein, L'ultimo immortale

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boretim
view post Posted on 30/4/2008, 10:08 by: boretim     +1   -1
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CELTIC LEGEND

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A VOLTE ci sono strani modi di scaldare il cuore di una tifoseria. Per quella del Celtic, storicamente passionale ma su certe cose intollerante quanto quella dei Rangers, ne esiste uno infallibile: riportarle alla mente gli eroici tempi di Jock Stein (si pronuncia “Stin”, ndr), il primo non cattolico a sedersi sulla panchina biancoverde e l’ultimo «immortale». Così gli si era rivolto il 25 maggio 1967 Bill Shankly, leggendario manager del Liverpool, nel fargli i complimenti per la fresca vittoria in Coppa dei Campioni, la prima di una squadra non latina.
John Stein, figlio unico di George e Jane, nasce il 5 ottobre 1922 a Burnbank, minuscolo centro minerario alle porte di Hamilton, nel South Lanarkshire (Scozia). Come per quasi tutti i suoi contemporanei, anche per Jock – così all’epoca lo chiamano amici e parenti – il futuro sembra tracciato: in miniera. Finita la scuola alla Leaves Greenfield, a quattordici anni Stein lavora per un po’ in un’azienda che produce tappeti. A quindici, scende nel sottosuolo per seguire le orme paterne nell’estrazione del carbone. Strano a dirsi per uno che da adulto diventerà un gran pezzo d’uomo, Jock, da ragazzino, anche per via di quel tipo di lavoro, ha il fisico elastico e sottile come un giunco; e a differenza dei meno fortunati colleghi, anche una via di fuga: il calcio.
Per quattro anni, dai sedici ai venti, milita in una delle più famose formazioni juniores scozzesi, il Blantyre Victoria. La svolta avviene poco dopo il 20esimo compleanno. È il 1942 ma l’attività agonistica, pur duramente condizionata dalla Seconda guerra mondiale, non si ferma. Esentato dal servizio militare in quanto minatore, Stein lavora dal lunedì al venerdì e il sabato gioca a calcio. L’esperienza maturata con gli juniores gli vale un provino con gli Albion Rovers. La squadra del Lanarkshire è in netta difficoltà perché dalla Second Division, dopo la riforma dei campionati avvenuta nel periodo bellico, si ritrova “promossa” nella riorganizzata First Division, nonostante i ranghi ridotti all’osso per via dei tanti giocatori spediti al fronte. Con il club di Coatbridge, Stein ha già sostenuto dei provini come centromediano – la prima volta, ironia della sorte, in un sorprendente quanto meritato 4-4 contro il Celtic –, ma non era stato preso. Ora, finalmente, c’è la firma e dopo un breve prestito, nel ’43, al Dundee United, comincia per lui un’altra carriera. Bob Crampsey, stimato cronista e commentatore sportivo delle Highlands, oltreché uno dei suoi più attenti biografi, giura che da calciatore Jock era più forte di quanto in molti, non ultimo il giocatore stesso, credessero.
Ancora oggi ricordato come uno dei migliori acquisti arrivati a Cliftonhill, si deve in buona parte all’imponente “presenza” di quel centr’half mancino se i Rovers conquistano, nel 1948, la promozione in Second Division, traguardo che in un libro Stein definirà «il miglior traguardo nella storia del club». Allora, come oggi, il denaro era poco a Cliftonhill, e così Jock si ritroverà, di lì a poco, a discutere sugli emolumenti. Per tutta la carriera Stein ha sempre creduto che al “valore” di un lavoratore dovesse corrispondere quello dell’ingaggio percepito, battendosi per ottenere quanto credeva che gli spettasse. In questo senso si spiega la scelta, alquanto bizzarra, della sua prossima destinazione.
Nel 1950 risponde a un annuncio messo sul giornale da un modesto club gallese di non-League, il Llanelli Town. Sull’inserzione si legge che la società è alla ricerca di «giocatori di comprovate capacità», il cui «prezzo del cartellino non costituisce una pregiudiziale» purché si tratti di «top players». Il Llanelli gli offre l’allora principesca somma di 12 sterline la settimana – il doppio di quanto Stein prendeva agli Albion Rovers – e la possibilità di vivere il calcio come professionista a tempo pieno, così Stein parte alla volta del Galles del sud, lasciando moglie e figlia piccola a casa, a Hamilton.
«Il calcio di non-League in Galles era davvero il cimitero degli elefanti», ricorda Crampsey. «E credo che [Stein] sia sempre stato grato al Celtic per averlo ripreso dal Llanelli. Il merito del ritorno era stato del trainer della squadra riserve, Jimmy Gribben, che se lo ricordava bene per averlo visto all’opera nei Rovers e lo aveva segnalato al presidente Robert (Bob) Kelly, il quale, via via che i successi in panchina di Stein aumentavano, si prendeva meriti che invece erano tutti di Gribben».
Nel 1951 il Celtic era nel bel mezzo di una crisi dovuta agli infortuni. Gribben suggerì il nome di Stein, che per 1200 sterline arrivò a coprire il duplice ruolo di rincalzo per la prima squadra e di tecnico per le giovanili. Dal canto suo, dopo un anno, Stein voleva disperatamente tornare a Hamilton, anche perché in sua assenza la casa era stata “visitata” dai ladri un paio di volte. L’accordo è presto fatto e così, l’8 dicembre, Jock debutta battendo in casa (2-1) il St Mirren.
Le storie più belle richiedono un elemento di fortuna, e in questa la provvidenza dà subito una grossa mano al neoarrivato. In rosa Stein ha davanti a sé tre centromediani: alla prima scelta, Jimmy Mallan, si riacutizza uno stiramento inguinale; Alec Boden s’infortuna alla schiena; e Johnny McGrory è convalescente dopo un problema a una cartilagine. L’incredibile catena di incidenti costringe quindi il manager Jimmy McGrory a imperniare la difesa attorno a Stein, che non si fa sfuggire l’opportunità. Una volta in squadra, non ne esce più, se non per infortunio.
Il destino, ancora una volta, ci mette la mano, stavolta per cementargli il posto in squadra. A quei tempi è il capitano a nominare il vice e, per estensione, il proprio successore. La fascia era del portiere Sean Fallon, che nomina Stein numero due davanti a uomini quali Bertie Peacock e Bobby Evans, che potevano sembrare scelte più ovvie se non altro per anzianità. Poco prima del Natale ’52 Fallon si rompe un braccio e così Stein, a un anno dal suo arrivo a Celtic Park, ne eredita i gradi, che manterrà sino al 1955-56, quando un infortunio alla caviglia gli farà chiudere anzitempo la carriera, lasciandogli una permanente zoppia.
Nel ’53 conduce il Celtic alla vittoria nella Coronation Cup, trofeo messo in palio per celebrare la ricorrenza dell’incoronazione della regina d’Inghilterra Elisabetta II. Gli scozzesi superano inaspettatamente gli squadroni inglesi dell’Arsenal (1-0) e del Manchester United (2-1) e, nella finale del 20 maggio, i connazionali dell’Hibernian (2-0 davanti ai 117.000 di Hampden Park), laureandosi campioni (ufficiosi) di Gran Bretagna.
Nel ’54 la squadra conquista il titolo dopo 16 anni e il primo “double” Coppa di Lega-Coppa di Scozia dal 1914.
A fine stagione, il presidente Kelly porta i giocatori in viaggio-premio in Svizzera per assistere ai Mondiali. Mentre il resto della spedizione si gode la vacanza e solidarizza con i tre nazionali del Celtic (Evans, Fernie e Mochan) umiliati 7-0 dall’Uruguay, Stein guarda e impara. Per prima cosa, a non ripetere gli errori degli scozzesi nella preparazione; secondariamente, le innovazioni tattiche dei continentali, in particolare il “9” tattico nel WM degli ungheresi che stavano rivoluzionando il gioco.
Nel 1956, archiviate 148 gare (e 2 gol) in biancoverde, Stein chiude la sua parabola agonistica vincendo la prima Coppa di Lega nella storia del Celtic: 3-0 al Partick Thistle nella finale-bis (doppietta di McPhail e sigillo di Collins) dopo lo 0-0 della prima gara e un decennio di tentativi falliti.
Jock resta al club per apprendere i rudimenti della professione guidando le riserve e le giovanili e perorando con la dirigenza l’acquisto di Barrowfield come campo di allenamento. Nel 1958, rifilando un complessivo 8-2 ai Rangers, si assicura il primo trofeo da manager, la Second XI Cup, coppetta riservata appunto alle seconde squadre.
Ma è al Dunfermline Athletic che Stein dimostra di essere pronto per camminare con le proprie gambe. Il 14 marzo 1960 firma il contratto e in sei settimane, vincendo le altrettante gare rimaste, evita una retrocessione che pareva certa. L’anno successivo, i Pars conquistano la prima Coppa di Scozia della loro storia superando proprio il Celtic (0-0; 2-0 di Thomson e Dickson).
Dopo quattro anni nel Fife, il 1° aprile ’64 Jock passa all’Hibernian di Edimburgo con cui vince subito la Summer Cup. Per testare più le reali ambizioni della dirigenza che la forza della squadra, Stein invita il Real Madrid per un’amichevole a Easter Road, conclusa con un incredibile 2-0 per i padroni di casa.
Tempo pochi mesi, il 9 marzo del 1965 l’autocratico Kelly, autocratico presidente del Celtic che lo corteggiava da gennaio, lo riporta “a casa” per farne il successore dell’ormai logoro Jimmy McGrory, in carica dal 1940 e sbrigativamente girato alle Pubbliche relazioni. Monumento del club da giocatore (400 gol in 17 stagioni con i Bhoys), McGrory era più gestore che allenatore, e secondo alcuni solo un paravento dietro il quale Kelly si nascondeva per fare la formazione. Logico pensare che un simile avvicendamento avrebbe cambiato tutto, in campo e fuori.
Dopo 11 anni d’astinenza, con Stein arriva subito la Coppa di Scozia, 3-2 al suo vecchio club, il Dunfermline Athletic, grazie al colpo di testa riisolutivo di Billy McNeill; e, la stagione successiva, il primo titolo dopo 12 anni. In Coppa delle Coppe, come nel ’64 (3-4 complessivo con l’MTK Budapest), la squadra cede in semifinale, stavolta con il Liverpool (1-2 il conto dei gol).
In patria, Stein spezza il dominio dei Rangers nel calcio scozzese e dà vita al periodo d’oro nella storia del Celtic – una striscia-record di 9 titoli nazionali consecutivi (primato eguagliato dai “cugini” Rangers negli Anni 90), compresi due “trebles” (’67 e ’69) campionato-Coppa di Scozia-Coppa di Lega scozzese.
L’impresa più memorabile però fu portare a Glasgow, nel 1967, la Coppa dei Campioni. Eliminati Zurigo, Nantes, Vojvodina e Dukla Praga, in finale il Celtic rimonta con Tommy Gemmell (61’) e Stevie Chalmers (85’) l’illusorio vantaggio nerazzurro (rigore di Mazzola all’8’, concesso per un dubbio fallo di Craig su Cappellini) e realizza una storica impresa i cui protagonisti passeranno alla storia come “The Lisbon Lions”. A rendere onore alla prima squadra britannica campione d’Europa provvederà il “Mago” Herrera parlando, nonostante le botte subite dai suoi, di «vittoria dello sport». L’Inter, che in otto giorni perde Coppa Campioni, campionato e Coppa Italia, si vendicherà eliminando gli scozzesi ai rigori nella semifinale ’71-72. Ma nel ’66-67 il Celtic è una corazzata inaffondabile che centra l’en-plein: campionato, Coppa di Scozia, Coppa di Lega, Coppa dei Campioni e Glasgow Cup. Si arena solo sullo scoglio Intercontinentale: il mondiale per club va infatti al Racing di Avellaneda, sconfitto 1-0 a Glasgow, ma vincitore 1-2 a Baires e 0-1 nel «neutro» di Montevideo.
I biancoverdi sfiorano il bis europeo tre anni dopo, a Milano contro il Feyenoord. Stavolta però, a prevalere sono gli olandesi (vantaggio del “solito” Gemmell, pareggio di Israël e, nei supplementari, gol-vittoria dello svedese Kindvall). L’epopea del Celtic finisce lì, perlomeno sulla ribalta internazionale, perché ricostruendo sul talento di David (Davie) Hay, Geroge Connelly, Lou Macari, Kenny Dalglish e Danny McGrain, Stein arpiona altri 5 campionati (4 in fila dal ’71 al ’74 più quello del ’77), 5 Coppe di Scozia (’71, ’72, ’74, ’75 e ’77) e 2 Coppe di Lega (’70 e ’75). Alla fine, in 13 anni (e 12 stagioni disputate) Stein vanterà 25 successi (la Coppa Campioni, 10 titoli e 8 Coppe nazionali e 6 Coppe di Lega), senza contare i trofei minori.
Nel luglio ’75, il tecnico si salva per miracolo in uno scontro automobilistico avvenuto sulla strada del ritorno a casa da una vacanza a Minorca. Jock deve la vita alla prontezza di un poliziotto che lo raccoglie, in fin di vita, sul ciglio della strada. Stein respira a fatica ma l’agente lo rianima e riesce a farlo ricoverare d’urgenza all’ospedale di Dumfries.
Sarà un caso, ma per la prima volta in undici stagioni, e cioè da quando Steine ne era diventato il manager, il Celtic non vince nulla. Tornato in panchina dopo un anno di convalescenza, ma visibilmente meno irrequieto e combattivo, Stein si gode l’ultima stagione di successi e zittisce così le malelingue che non credevano al suo pieno recupero. Appena tornato il grande vecchio, come d’incanto i biancoverdi riconquistano il “double” campionato-coppa (il sesto dopo quelli del ’67, ’69, ’71, ’72 e ’74) e perdono (1-2 con l’Aberdeen) la finale in Coppa di Lega.
Nel 1977-78, la cessione di Dalglish al Liverpool e gli infortuni di Conn e di Stanton mettono fine alle speranze di riportare a Parkhead la Coppa dei Campioni. Stein viene avvicendato da McNeill, capitano a Lisbona ’67, in mezzo a una ridda di voci che vogliono il suo rapporto con la dirigenza irrimediabilmente deteriorato anche per via di un’umiliazione che non meritava, il tentativo di Kelly e Whites di metterlo a raccogliere fondi anziché affidargli la presidenza onoraria del club.
Nel 1978 resiste 45 giorni (uno in più di quelli di Brian Clough nel ’74) al Leeds United, poi si dimette e accetta per la seconda volta la panchina della nazionale dopo la parentesi vissuta nel 1965-66. Nei suoi otto anni di gestione, la Scozia centra due qualificazioni mondiali: a Spagna ’82, esce per un gol in meno rispetto all’URSS; a Messico ’86 ci arriva con un altro Ct.
Il 10 settembre ’85, al Ninian Park di Cardiff, subito dopo il triplice fischio che sancisce l’1-1 fra Galles e Scozia che vale ai suoi lo spareggio con l’Australia, Jock si accascia lungo la linea laterale e muore per un attacco di cuore, il secondo dopo il principio d’infarto patito nel ’73. Per un uomo di campo, forse la fine più sognata.
Deceduto Stein, il giovane Alex Ferguson funge da traghettatore verso la gestione-Roxburgh, ma non riesce a superare la prima fase. Per farcela sarebbero serviti il carisma e la conoscenza del gioco dell’ultimo Immortale.
Dai “Lisbon Lions” alle multinazionali
Ai giorni nostri le grandi squadre sono autentiche multinazionali del gol, con relativi bilanci e una rete di scouting davvero globale. A rendere speciale quel Celtic era invece la peculiarità, oggi inimmaginabile, che l’intera rosa proveniva dal vivaio, fatto con giovani del luogo e dalle profonde radici locali: l’«undici» campione d’Europa 1966-67 era nato e cresciuto entro 15-30 miglia da Glasgow. Prima di scendere in campo come professionisti al Celtic Park, quasi tutti i giocatori, da ragazzi, avevano tifato per i Bhoys da quelle gradinate. All’arrivo di Stein, nel 1965, il Celtic era un club dalle ampie risorse, ma non vinceva. Il campionato “apparteneva” ai fortissimi Rangers del difensore John Grieg e del mediano “Slim Jim” Baxter. Stein non solo regalò ai biancoverdi Coppa e titolo nel giro di un anno, ma seppe portare la squadra oltre i confini – è il caso di dirlo – parrocchiali fino a issarla sul tetto d’Europa. I “local lads”, i ragazzi del posto, erano diventati i “Lisbon Lions” capaci, nella finale di Lisbona, di sfilare la Coppa dei Campioni alla grande Inter di Helenio Herrera. Come per altri squadroni britannici – caso vuole anch’essi guidati da scozzesi –, il Liverpool di Bill Shankly o il Manchester United di Matt Busby e quello di Alex Ferguson, è stata soprattutto la continuità ad assicurare al Celtic un decennio di successi. Alla stessa maniera della dinastia dei Boston Celtics della NBA negli Anni 50-60, la perdita dei giocatori ceduti o ritiratisi non spezzava il ritmo dei successi, a testimonianza della cura del club nel preparare il ricambio generazionale. Per il dopo Jim Craig era già pronto Danny McGrain, al posto di Bertie Auld via libera a Kenny Dalglish. Il risultato era lo stesso: dominio totale. Non a caso, nel Celtic attuale, perfetto specchio dei tempi, persino il tecnico Martin O’Neill, nordirlandese di Kilrea, viene da fuori. E se c’è uno che può rinverdire i fasti dell’èra-Stein, compresa la vocazione europea, questi è proprio l’ex pupillo di Brian Clough ai tempi del Nottingham Forest: in quattro stagioni a Parkhead, già un “treble” (2001) campionato-Coppa nazionale-Coppa di Lega, un “double” (2004), un altro campionato (2002) più una finale di Coppa UEFA persa nel 2003 a Siviglia con il Porto di José Mourinho campione d’Europa l’anno dopo.
(ch.giord)


FONTE: FOOTBALL POETS SOCIETY - Christian Giordano

Edited by Alex_Paco - 23/2/2009, 15:29
 
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