Certe cose ti viene proprio da farle. Quando sono dietro ad un pallone, impazzisco. Il senso della vita, ti viene da dire, è quello: correre dietro ad una sfera. La testa ti si libera.
Non fosse che hai trentadue anni, delle responsabilità, un lavoro e dovessi fare la persona “seria” (divertendosi il più possibile) agli amici diresti “Sì, effettivamente il senso della vita è tutto là”. Le donne ti prenderebbero per scemo, ma volta più volta meno, poco importa.
Quando poi ci riesci, e magari fai anche del bene, è proprio il massimo dei massimi. Ma mettiamo ordine nel gran teatrino dei burattini della mia testa, apriamo la scatola nera e vediamo come è andata.
Gastroprotettore, cortisone, vitamina C. La colazione dei campioni. Un bicchiere di latte e un plum-cake per mandare giù tutto e si parte per Porta Genova. La sera prima, la cena dei campioni che somministro anche a Giuseppe: salsiccia calabrese con vino di Cirò. E lo sanno tutti che salsiccia più Cirò più cortisone = amore.
Ci si trova con i nostri fratelli sul libero suol di Cologno Nord, diventata ormai Fermata Biancoverde nel (mio) immaginario collettivo: abito da tutt’altra parte, per me è come se fosse sulla luna. Là ci vado solo per le trasferte con gli Italian Celts. Come il cane di Pavlov ho l’allucinazione colognonordica di Pierpiter che fuma la pipa lato parcheggio, ma lui non c’è. Ci sono McGiro, Maonis, Giuseppe ed Everland.
Bisogna arrivare a Sarnico. Fin là. Sarnico è lontano, penso. Come me la pensa anche il buon McGiro, probabilmente, dato che ancora fermo al capolinea della metro intima alla macchina di Maonis di fermarsi al primo autogrill per prendere un caffè. Il suddetto primo autogrill, entrati in tangenziale, è a circa – esagerando - 400 metri dal nostro punto di partenza. Maonis se ne accorge appena in tempo per far vedere a Giuseppe com’è fatto il radiatore di un TIR molto da vicino e rientrare a tempo di record nella corsia che porta al distributore.
Là si prendono le birre e ci si prepara per il lungo viaggio. Dopo nemmeno 40 minuti di chiacchiere e nomi di paesi in lingue vagamente somiglianti al sarmatico arriviamo a Sarnico. Porco cazzo, Sarnico è vicino. Non ho indagato, ma pare una bella cittadina. Sicuramente il palazzetto dello sport è una bellissima e caldissima struttura, nuova, sede di mille attività. Pare un paesello vivo, così ad occhio.
Intervallo. Momento caffè. Al bar di un distributore c’è una perla che val la pena di segnalare, tre o quattro cartelli disseminati per il locale che recitano:
“CAFFE’ SCIALBO = MENO DI 30 SECONDI
CAFFE’ BUONO = PIU’ DI 45 SECONDI
PER AVERE UN CAFFE’ BUONO BISOGNA ASPETTARE”
Preso nota di questa essenziale conoscenza che – credo – in futuro potrà sicuramente servirmi e di cui volentieri vi metto al corrente, andiamo al campo e ci cambiamo.
Noi Celts siamo vogliosi di entrare in campo e irretire con la nostra tecnica maiuscola gli avversari, così facciamo il gioco dei tremendoni: uno la mette in mezzo e (a freddo) il primo che passa tira fortissimo contro la porta sguarnita. Come riscaldamento non serve ad una mazza, converrete, ma dà soddisfazione.
Parte il torneo vero e proprio, il “mio” City (eh, sì, ieri avevo il cuore bicolore) perde con il Liverpool, tifoseria storicamente gemellata col Celtic.
Tocca a noi, giochiamo contro i padroni di casa del Sunderland. Facciamo il miglior primo tempo da quando gioco negli Italian Celts, il loro portiere è in forma e ci nega il gol in un sacco di occasioni. Caliamo nel secondo tempo, e una palla magica passa tra duecento giocatori, infilandosi in porta. Non riusciamo a recuperarla, e così, pur meritando ai punti, passano loro. Posso dirlo? Ci sono girate molto le palle. Ok, l’ho detto.
Inspiegabilmente, si gioca prima la finale 1°-2° posto tra Liverpool e Sunderland e beceramente noi tifiamo per i gemellati. Vanno in vantaggio, poi vengono ripresi e battuti ai rigori, udite udite, dal portiere del Sunderland che batte il collega nell’ultimo rigore ad oltranza. Applausi ai vincitori, com’è giusto.
Torniamo in campo, e il City – con rispetto parlando – ci mette ancor meno in difficoltà dei padroni di casa. Andiamo in vantaggio con gol di McGiro su assist di Everland, facciamo legna, diamo botte, la portiamo a casa, alla fine è festa. Usciamo tra gli applausi convinti dei Reds, che ci hanno guardato dalle tribune, e contraccambiamo felici.
Siamo terzi, ma il punto non è quello. Abbiamo vinto nei tempi regolamentari imponendo il nostro gioco, e non succedeva da tempo.
Al pub, poi, aspettiamo la macchina dei genovesi che era andata dritta verso Iseo, da alcune ricostruzioni frammentarie in mio possesso, e verso le due - due e mezza si comincia a mangiare e bere. Segue la pesca di beneficienza in favore di Nina, una bimba con una malattia genetica rarissima che – parlo a nome di tutti – siamo stati davvero felici di aiutare. Ognuno porta qualcosa e si fa un’estrazione a sorte. Il destino baro ed infido mi nega gadget di vestiario sportivo per accollarmi due libri. Come se non ne leggessi mille all’anno.
Però. Guardo bene le maglie, erano dell’Inghilterra. Vista la mia scarsa simpatia verso la nazionale inglese il destino forse non è stato così baro. Tra Celts e altri tifosi parte una sequela di scambi che porta Ghido ad un quadretto di Celtic Park. E’ visibilmente commosso, forse anche perché la birra che gli ho consigliato caldamente gli fa schifo.
Durante la premiazione, i nonni di Nina ci ringraziano per la solidarietà. Non voglio fare quello pesante, ma penso che se quella bambina starà meglio per le pedate che abbiamo tirato, questa giornata sarà sicuramente servita a molto, per noi.
Foto di rito tutti insieme con la minicoppa dei campioni che sancisce il nostro terzo posto e il nostro torneo può dirsi finito.
Che aggiungere? Io come sempre parlo per me: sono tornato a casa molto felice non solo di come ho giocato - che poi, voglio dire, chissenefrega, è un “in più”, l’importante è divertirsi – ma soprattutto dello spirito di corpo degli Italian Celts. Siamo un grande gruppo di persone, non solo numericamente. Non è come essere delle altre squadre, anche straniere, è molto di più.
Fa freddo, quando torno. Alla stazione di Lambrate per qualche strano motivo mi viene da guardare verso l’alto. C’è una bella mezzaluna.
L’S9 arriva, col suo calore fatto di superbatteri Trenord, tre volte più resistenti rispetto ad un normale vibrione. Mi rilasso, apro il libro e leggo.
Chissà cosa fanno gli altri.
Edited by noel81 - 8/12/2013, 00:32