giovedì 3 dicembre 2009
L'addio di Larsson al calcio / l'Unità
C’era una volta un principe, diranno i nostri cari lettori.
No, Henrik Edward Larsson non è un principe, ma quasi, sarà per la sua signorilità, sarà che ha dato tutto se stesso in ogni squadra in cui ha giocato, sarà che, in un mondo come quello del calcio, ha mantenuto la parola data. Sarà anche per il titolo di Membro dell’Ordine dell’Impero Britannico che ha ricevuto nel 2006 per gli anni straordinari passati a Glasgow, sponda Celtic.
Sicuramente la squadra che ne ha esaltato le doti di bomber con 174 gol segnati in 221 partite, vincendo nove titoli, la Scarpa d’Oro, 5 volte capocannoniere della Scottish Premier League, votato 2 volte miglior calciatore del campionato scozzese, oggi il suo nome è nella Hall of Fame dei biancoverdi cattolici.
Adesso che ha deciso di smettere, a 38 anni, sarà ricordato per questo e non solo, perché Larsson è stato uno degli attaccanti più forti e prolifici di tutti i tempi, un po’ sottovalutato ma anche fortunato nelle scelte. In una pausa del campionato svedese, per esempio, 2006-07, è andato al Manchester United con cui ha vinto la Premier League; con il Barcellona ha giocato due stagioni, ma appena in tempo per vincere la Champions League 2005-06; con la Svezia a preso parte a tre Mondiali, ’94, 2002 e 2006, conquistando un terzo posto negli Stati Uniti.
Oggi si direbbe un vincente, ma la sua vita e la sua carriera sono state attraversate anche da momenti difficili, come l’infortunio del 21 ottobre ’99 a Lione: tibia e perone rotti nello scontro con Serge Blanc, negli spogliatoi i compagni di squadra erano affranti, non per la sconfitta, ma per aver perso Henrik, per tutti “Henke”. Larsson torna e il 27 agosto del 2000 segna uno spettacolare 6-2 contro i Rangers di Glasgow, aperitivo di uno storico Treble per il Celtic che in quella stagione vince campionato, coppa di Lega e di Scozia.
Nella sua carriera è stato anche attraversato dall’idea di smettere precocemente con la Nazionale, con la quale ha giocato tre Mondiali e tre Europei, e malevolmente accarezzato da un incipit di depressione, ma la famiglia e il calcio hanno fatto il resto; i figli si chiamano Janice e Jordan in onore del cestista Michael.
Figlio di una svedese e di un capoverdiano ha colpito sempre per la sua carnagione scura e, a tratti, per un’incredibile acconciatura rasta.
Quando ha capito che era il momento è tornato nella squadra della città natale, Helsingborg, e qui ha attaccato per sempre le scarpe al chiodo. Come ha scritto il settimanale spagnolo Don Balon: hasta siempre “Henke”, ha sido un placer. Sì, è stato un piacere.
un articolo di Francesco Caremani,
http://fangoenuvole.blogspot.com/